Mi piace ricordare, mi piace celebrare. Ed è giusto ricordare che questa recensione fu pubblicata originariamente nell’ottobre del 2022 sulla pagina facebook di “Stereo Notte – il Libro”, ottenendo quasi 1000 like e un paio di centinaia di commenti entusiastici a corredo di ci che segue e che pubblico felicemente anche sul mio sito!
Era infatti il giorno in cui si ricordava l’uscita di uno dei 10 album fondamentali per la mia vita, e quindi della personale discografia. Il 1°ottobre 1982 arrivava nei negozi “The Nightfly”, di Donald Fagen, la voce di un gruppo che forse molti di voi curiosi di questo articolo ricorderanno. Per comprendere bene perchè questo disco sia così importante, è giusto capire. Ma per farlo, occorrono delle parole da spendere e, magari, del vostro tempo da impiegare.
Personalmente, all’epoca, avendo compiuto appena 16 anni, mentre l’autore di quel disco ne aveva quasi il doppio, per la precisione 34, dei suoi quali ultimi 11 (da “Do It Again”, in pratica) profusi a fare la storia di certa musica che definiremmo limitatamente “vocal fusion”, dobbiamo ammettere che ero ancora troppo piccolo e inesperto per arrivare a comprendere e afferrare molte di quelle sfumature che solo oggi mi appaiono più chiare. Eppure avevo capito che quel disco 1) faceva la differenza 2) mi faceva sentire bene e “importante” 3) suonava da dio in radio 4) era per me qualcosa di inarrivabile.
Quando uscì questo album, ascoltai un videoclip in tv sulla RAI, a “Mister Fantasy”, il mitico programma condotto da Carlo Massarini, e poi entrai in radio, lo stesso mese dello stesso anno. Come dimenticarlo? Da qui si evince una cosa importante: molti di noi erano per davvero degli “young adult”: c’è chi si atteggiava a voler sembrare “grande”. Personalmente, amavo la buona musica, certe melodie, e basta. Stavamo imparando, ma era già “tutto dentro” e tutto scritto, probabilmente… All’epoca è giusto ricordare che si andava a ballare in giacca e cravatta, e c’era tutta un’altra mentalità, a proposito di “buon gusto”. Quella musica si sposava al meglio, insomma, nel suo insieme. Ma non è questo il punto. “The Nightfly” è un album strepitoso, dal primo all’ultimo degli 8 pezzi! Suonava come oggi, cioè straordinariamente bene. Nel tempo imparai il perché:
1) perchè lui era già la mente degli Steely Dan, ovvero un gruppo fusion-rock coi controcazzi
2) Perchè quello era il primo album solistico, senza Walter Becker
3) …ma tanto c’era un supergruppo a suonare in questo debutto, che te lo sogni ancora oggi: Jeff Porcaro, Michael e Randy Brecker, Larry Carlton, Dean Parks, Will Lee, Larry Carlton, Marcus Miller, Abraham Laboriel, Michael Omartian, Greg Phillinganes, Valerie Simpson ai cori…
La melodia, gli accordi, i ritornelli, il respiro orecchiabile e meticolosamente impressivo di questa musica, ha fatto sì che “The Nightfly” arrivasse nel cuore e nel sangue di milioni di fans, decretandosi uno dei pochissimi album di estrema qualità e godibilità d’ascolto come pochi altri al mondo si son potuti permettere.
Se poi ci mettiamo che un dj speaker scozzese si inventò lo pseudonimo, ovvero “Nick The Nightfly” per diventare il più famoso intrattenitore smooth jazz della radiofonia italiana, tutto torna. Sto parlando ovviamente proprio di quel “Nick” di Montecarlo Nights…
Naturalmente, la cover del disco fa la sua differenza: come non rivederesi in quel dj che sa tanto di anni ’50-’60?
E’ un album traumatico, anzi taumaturgico.
E’ la voglia di vivere, di viaggiare anche stando soltanto in casa.
E’ desiderio di esplorare la bellezza del jazz, senza per forza entrare nei fumosi meandri della musica colta.
E’ estate perpetua, con la voglia di skyline e drink fruttati.
E’ la necessità di alzare il volume, perchè fa bene al cuore.
E’ la voglia di camminare attraverso gocce di pioggia.
E’ intimità, al limite del suo pudore. Ma anche condivisione per mirate affinità elettive.
E’ il non tempo che va e viene, in un flusso continuo, di quelli che “tu invecchi, ma questo disco no, perchè ci sotterrerà fino a che esisterà il bello nella vita”.
“I.G.Y.”, da portarsi in limo.
“Green Flowers Street”, da notturni radiofonici interminabili.
“Ruby Baby”, da invito al ballo di fine anno in una dimensione parallela.
“Maxine”, beato a chi c’era veramente a “Mexical City”.
“New Frontier” e non ci si ferma più.
“The Nightfly” quale cravatta mi metto oggi per andare al “Lenny’s Club”?
“The Goodbye Look” la vasca da bagno bolliva anche senza idromassaggio.
“Walk Between the Raindrops” che l’Hammond sia con noi. Anche durante un acquazzone.
Sono passati più di quarant’anni., ed io stento ancora a crederci.
Che Dio ti benedica, Donald!
Pino Morelli