Se devo dire come sempre la verità, questo album meriterebbe il capitolo di un intero ipotetico libro. I motivi di tale ammissione sono molteplici e, addirittura, alcuni di essi sono persino inesplicabili, nonostante non mi manchi la scrittura. Perchè questo è un disco battezzato col profumo dell’estate essendo uscito proprio quarant’anni fa, nel giugno del 1982. Lo giudico soltanto (e sottolineo: SOLTANTO di una spanna sotto il mio già recensito “The Nightfly”, il capolavoro irragiungibile di Donald Fagen.
Perchè “Night and Day” di Joe Jackcon è un altro miracolo scatutito da quel sabbatico anno. Un album straordinariamente formativo per i ragazzi dell’epoca come noi. Un’opera composta da un artista poliedrico e colto, col jazz e lo swing, il funk e il soul nel sangue. Un amico strambo della porta accanto che riuscì, come solo un David Byrne o per l’appunto un Donald Fagen della situazione potevano fare, a condensare tanti generi e differenti epoche e stili musicali in un crogiolo irresistibile di ritmo e melodia in un solo, grandioso album. Il giorno e la notte raccontati nel solco di due lati, rovesci di una stessa medaglia dorata. La A, con una parte oscura e conturbante della fascinosa New York, quartieri ispanici compresi; La B con una parte bianca e nostalgica della Big Apple che non dorme mai. Che capolavoro, a risentirlo ancora oggi: e che singolo, “Steppin Out”, che riuscii a scoprire a soli 16 anni, grazie ancora una volta a “Mister Fantasy”, il popolare programma coevo della RAI condotto dallo storico veejay Carlo Massarini, e che farebbe parte di un’immaginaria, irrinunciabile compilation ufficiale di “Stereo Notte”, altra popolare trasmissione, ma radiofonica dell’emittente di Stato. Joe Jackson sarà anche memore di un altro capolavoro, di una gemma di album successivo a questo, stavolta intitolato “Body & Soul”. Notte e giorno; corpo e anima; sangue e latte, insomma. Sono fortunato ad essere sopravvissuto a soli 16 anni, all’epoca senza un briciolo di fidanzata e senza aver mai trascorso per una sola volta un “cuore di panna” con una partner al chiaro di luna della spiaggia pescarese. Avrei avuto voglia di spezzarmi in due, ascoltando proprio la struggente “Breaking Us in Two”, scioglermi dentro una cioccolata di tristezza con quella canzone di chiusura come ” A Slow Song”. Oppure immedesimarmi nel testo di “Real Men”, mentre le note di ebano e avorio della tastiera di Joe riecheggiano momenti forse uggiosi, sicuramente malinconici di grande caratura. Sarà sempre la solita vecchia storia, e sar pure logorroico e ripetitivo quando continuo a domandarmi che cosa possa rappresentare per un minorenne dell’epoca come me, potermi nutrire con queste canzoni così pure e mature, così serie e meravigliose, per esempio, come quelle contenute in questo album. Ogni volta che ci rifletto, mi vengono i brividi ed un anelito di tristezza a confrontarmi con i giorni nostri. O meglio: con la maggior parte della musica dei giorni nostri. Meno male che siamo stati come le formichine in estate, a raccoglier cibo per inverni (quasi) interminabili, in attesa di “uscire”.
Pino Morelli