CHINA CRISIS: “Working Fire and Steel”, 1983

Tra gli album fondamentali per il percorso narrativo e formativo del synth pop inglese generato negli Anni 80: “Working With Fire and Steel” dei fantastici Chins Crisis che, solo qualche anno dopo, videro il tocco (non sappiamo ancora per quale astrale convergenza, notizie ufficiali a parte) di Walter Becker, alias la metà del glorioso duo degli Steely Dan assieme a Donald Fagen.
Qui però parliamo del 1983, anno di consacrazione anche di quel sottogenere che è la corrente “New Romantic” a cui il gruppo di Liverpool sicuramente può annoverarsi, con quel sound alla Vince Clarke (Depeche Mode, poi Yazoo) per intenderci, che sapeva infondere afflati soul persino alle più fredde tastiere dell’epoca, assieme a quei bravi ragazzi della OMD, giusto per fare soltanto qualche esempio pratico.
Dopo il discreto debutto discografico avvenuto nell’82 (attenzione però: discreto è l’album, ma magnifiche sono alcune delle canzoni in esso contenute!), i China Crisis sfornano questo gioiellino di 33 giri che è accompagnato – caso da evidenziare – da altri e.p. da capogiro che vanno a completare un portafogli di long version ma sopratutto di b-sides così stupende e coloratissime, da gridare quasi al miracolo.
Basti approfondire i 12″ del singolo omonimo all’album, per l’appunto “Working Fire and Steel” (con 2 strumentali da capogiro che rimandano a Cure e Durutti Column…), poi di “Tragedy and Mistery” e del maxi single più famoso e accorato, con la stupenda “Whishful Thinking”, per comprendere di quale patrimonio artistico stiamo trattando.
La pausa di quasi due anni proietterà poi i China Crisis praticamente in un’altra era e dimensione (il potere di cambiamento musicale degli Eighties, sarebbe quasi materia universitaria da affrontare…), indubbiamente non meno affascinante, ma di certo diversa da quegli irripetibili momenti racchiusi nei primi due album.
Risentirli dopo decenni mi fa tornare sicuramente adolescente, ma soprattutto conscio, oggigiorno, di che capitale avevamo a disposizione, senza nemmeno quasi rendercene conto!
Pino Morelli

THE DREAM ACADEMY: REMEMBRANCE DAYS, 1987

Quando The Dream Academy pubblicarono “Remembrance Days”, ovvero la loro seconda fatica discografica, l’attesa era tanta, almeno la mia: dopo il discreto successo (considerato il ruolo delicato e sommesso della band) del debut-album e di un singolo, “Life in a Northern Town”, che suonò parecchio nelle migliori radio anche nostrane, ci si auspicava almeno un ritorno degno, per l’appunto, del debutto. Ieri, 5 stelle per il magazine Rockstar; oggi, 3 stelle di rating da Allmusic. Per me (e da sempre) un meraviglioso esempio di “perfect pop” votato alla mortale immortalità. Risultato? Come il mainstrram si dimenticò in fretta di loro e, presto, per una carriera mai decollata veramente, tuttavia puntellata di perdurevoli ricordi. Se poi io stia qui a rimarcare che una piccola fetta del canto del cigno pinkfloydiano “The Division Bell” sia per opera del leader dei Dream Academy, Nick Laird-Clowes, e che lo stesso David Gilmour fu motivato a produrre il primo e il terzo (ed ultimo album) di questi miei beniamini, non è che sia cosa da poco, non vi pare? Ma il chitarrista dei Pink Floyd non si farà mancare (quasi segretamente, ma si sente…) all’appello neppure nel brano di chiusura di questo “Remembrance Days” uscito nel 1987, e non è altrettanto cosa da poco. Ora che ne sapete di più di questo album scomparso dalla storia del “pop perfetto”, ho già quasi compiuto la mia missione. Ma c’è qualcosa da dire ancora. Ovvero quell’ancora più latente ringraziamento a Paul Simon che spicca tra le note di copertina. Insomma: cosa fecero di tanto speciale i Dream Academy da meritarsi tanta meticolosa attenzione? Sarà solo e sempre l’ascolto a sentenziare la giusta risposta. Un esemplare baroque-pop apparso fuori stagione, in un’epoca dominata dai synth e dalla maledetta plastificazione industriale della musica, l’emergere e il perdurare melodico di questa prova seconda (non certo di minor spessore rispetto alla prima, uscita nel 1985) premiano una band scioltasi in meno di due lustri che noi, fedeli custodi “dei Graal” discografici dispersi nelle teche in vinile, nell’aere di presunti o certi registri akashici e, non di meno, nei nostri cuori, desideriamo evocare nostalgicamente per tutti i puri di cuore, non di meno puristi del pop. Quanta eleganza, quanto stile e che arrangiamenti! Abbiamo fatto giustizia anche stavolta.

Pino Morelli