Il ricordo è quello di un appena diciassettenne che si ritrova nella radio (da lui frequentata per la conduzione di un suo programma che egli presenta giornalmente) e anche fra le mani, un album di una cantante ancora a lui sconosciuta (e, per la verità, anche alla maggior parte degli ascoltatori italiani), o per lo meno fino a quel momento – e precisiamolo: ben un anno prima della super hit di “I Feel For You” – ma dotata di un repertorio evidentemente così maturo tanto prodigioso dafarne uscire addirittura un doppio lp dal vivo. Col revisionismo storico de noartri, potremmo dire che ci saremmo dovuti ricordare anche la versione originale di “I’m Every Woman”; ma per me sarebbe stato chiedere troppo, ed evviva la verità!
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THE DREAM ACADEMY: REMEMBRANCE DAYS, 1987
Quando The Dream Academy pubblicarono “Remembrance Days”, ovvero la loro seconda fatica discografica, l’attesa era tanta, almeno la mia: dopo il discreto successo (considerato il ruolo delicato e sommesso della band) del debut-album e di un singolo, “Life in a Northern Town”, che suonò parecchio nelle migliori radio anche nostrane, ci si auspicava almeno un ritorno degno, per l’appunto, del debutto. Ieri, 5 stelle per il magazine Rockstar; oggi, 3 stelle di rating da Allmusic. Per me (e da sempre) un meraviglioso esempio di “perfect pop” votato alla mortale immortalità. Risultato? Come il mainstrram si dimenticò in fretta di loro e, presto, per una carriera mai decollata veramente, tuttavia puntellata di perdurevoli ricordi. Se poi io stia qui a rimarcare che una piccola fetta del canto del cigno pinkfloydiano “The Division Bell” sia per opera del leader dei Dream Academy, Nick Laird-Clowes, e che lo stesso David Gilmour fu motivato a produrre il primo e il terzo (ed ultimo album) di questi miei beniamini, non è che sia cosa da poco, non vi pare? Ma il chitarrista dei Pink Floyd non si farà mancare (quasi segretamente, ma si sente…) all’appello neppure nel brano di chiusura di questo “Remembrance Days” uscito nel 1987, e non è altrettanto cosa da poco. Ora che ne sapete di più di questo album scomparso dalla storia del “pop perfetto”, ho già quasi compiuto la mia missione. Ma c’è qualcosa da dire ancora. Ovvero quell’ancora più latente ringraziamento a Paul Simon che spicca tra le note di copertina. Insomma: cosa fecero di tanto speciale i Dream Academy da meritarsi tanta meticolosa attenzione? Sarà solo e sempre l’ascolto a sentenziare la giusta risposta. Un esemplare baroque-pop apparso fuori stagione, in un’epoca dominata dai synth e dalla maledetta plastificazione industriale della musica, l’emergere e il perdurare melodico di questa prova seconda (non certo di minor spessore rispetto alla prima, uscita nel 1985) premiano una band scioltasi in meno di due lustri che noi, fedeli custodi “dei Graal” discografici dispersi nelle teche in vinile, nell’aere di presunti o certi registri akashici e, non di meno, nei nostri cuori, desideriamo evocare nostalgicamente per tutti i puri di cuore, non di meno puristi del pop. Quanta eleganza, quanto stile e che arrangiamenti! Abbiamo fatto giustizia anche stavolta.
Pino Morelli
STEVIE WONDER: FULFINGNESS FIRST FINALE, 1974
“Fulfillingness’ First Finale” ha compiuto 50 anni nel 2024. Difficile scegliere tra gli album preferiti di Stevie Wonder. Innegabile ergerlo a capolavoro della raffinatezza soul di tutti i tempi. Un manipolo di ospiti da brivido (Michael Sembello, Minnie Ripperton, Impressions, Jackson Five, Jim Gilstrap, e non solo…) per una lista di tracce dipinte nell’arcobaleno, da occhi che non possono più vederlo da una vita. Eppure quegli occhi meriterebbero più di altri di poterne scorgere ogni giorno della sua vita, ogni loro piccola fulgida sfumatura. Che stranezze che commette la vita, non è vero?